Articolo pubblicato su "EVENTI"
Periodico di Attualità, Cultura & Sport
Ottobre 2015 - Anno XVII - N. 9

Panorama di Sarno (2015) del maestro Salvatore De Angelis

 

Un colpo d'occhio sulla città: di solito artisti di pennello e fotografi ritraggono un angolo di un paese, un aspetto che suscita in loro, come negli altri, particolari sensazioni o ricordi di cose passate. Il nostro illustre e generoso maestro Salvatore De Angelis ha ritratto più volte sulle sue tele con rara maestria e varietà prospettiche, nonché con incantevoli sfumature di colori, i luoghi più suggestivi di Sarno, perché è un eccellente paesaggista, e non solo. Tra le sue molteplici opere ammiro in particolare quelle che si collocano nell'ambito metafisico o surrealista, poco note al grande pubblico.

Nella tradizione culturale europea i panorami di una città nella sua interezza (mi si lasci passare l'espressione tautologica), quello che i tedeschi chiamano Rundblik, erano eseguiti dai viaggiatori del Grand Tour, ossia i giovani studiosi inglesi, tedeschi, francesi, austriaci ecc., che dal Seicento al Novecento venivano in Italia a completare la loro formazione nelle arti figurative, in storia, in archeologia: allora nel loro voyage attraverso l'Italia prendevano appunti su tutto quanto osservavano di interessante e tale che potesse essere riferito agli altri e ricordato da loro stessi. Quelli più abili nell'arte pittorica o grafica, peroffrire una chiara sensazione di quello che avevano visto, oltre alle descrizioni scritte, eseguivano dí proprio pugno i panorami grafici o pittorici in mancanza della fotografia inventata nel 1825 c. e praticata a partire dal 1845 c. E' noto che il realista francese Corot, per non parlare del romantico inglese Turner, e tutti altri paesaggisti, usavano la descrizione pittorica del luoghi visti peri loro compatrioti che non potevano visitare l'Italia.

Prendiamo ora ad esempio, e non a caso, Pompei che fu molto riprodotta a livello di particolari, e per il panorama da Jacob Philipp Hackert (Rovine di Pompei, 1779), da Paul Emile Bonnet (Grande vista trasversale ovest-est attraverso il Foro triangolare e i due Teatri, stato attuale, 1858) ed altri ancora. Questa tradizione difatti continuò a essere praticata dalla Scuola di Posillipo, ad es. da Pitloo (Veduta della Via dei Sepolcri,1837), e da tanti artisti anche successivamente.

Perché il nostro maestro De Angelis ha voluto rappresentare un panorama globale di Sarno, che va da est a ovest, e da sud a nord, cioè da Piazza Lago ai colli Saretto e Saro, e si snoda in rotondità attraverso il centro urbano, il borgo di San Matteo, il Castello e la Chiesa della Madonna del Carmine? Nel quadro c'è un gioco cromatico con alternanza tra colori sfumati e distesi, che trasmettono un senso di calma e di serenità. C'è ancora un gioco di spazi tra i primi piani, dove campeggiano lo scheletro di una casa in costruzione (sospesa) e un prato con una zona blu geometrica, e gli ultimi piani dove le colline ei monti, ricurvi e variegati, si elevano piccoli e compatti su due livelli. I dettagli, i particolari sono incantevoli, pittoricamente perfetti con luci e ombre.

Quale sensazione comunica questa triplice distribuzione di piani, dei quali il primo verde, ma sfigurato dal cemento incombente e minaccioso; il secondo geometrico, ordinato, è strutturalmente più vecchio e "datato"; il terzo, naturale e antico quanto l'uomo, più dell'uomo, si erge come un baluardo a difesa? Penso che il maestro De Angelis abbia voluto consegnare ai posteri una visione globale della Sarno dell'inizio del III millennio, dove l'opera dell'uomo, spesso distorta, modifica e sfregia il territorio, che invece storicamente si è assestato con una certa razionalità e laboriosità (direi anche con un certo rispetto per la natura), mentre le colline del Saretto e del Saro conservano ancora più o meno intatto, nonostante gli incendi, la continua deforestazione e le alluvioni, il patrimonio naturale e storico.

Confrontiamo la sua opera con quella di un autore del Settecento, per esempio con il quadro di Giovan Battista Lusieri, Alle falde delVesuvio da Portici, 1784, dove si scorgono in primo piano sia la natura brulla con rocce rugose, cespugli e aloe, sia alcuni gentiluomini e gentildonne con un cane; al centro la zona del paesaggio urbano, dove si passa dalla casa colonica al palazzo borghese, con alle spalle il borgo, e infine sulla sinistra il Palazzo Reale, che danno tutti un senso di sicurezza; nel fondo si distende la natura dominante con il suo verde cupo, dove campegia il Vesuvio fumante.

Si vede che tra quel paesaggio e il nostro attuale sono trascorsi due secoli e più, ma sembra molto più di quanto non sia. Il maestro De Angelis ci ha rappresentato (certo volutamente) una Sarno storicamente importante, ma oggi tuttavia priva di calore umano, di attività e forse di vita vera e propria. Non c'è un contadino che lavora nei campi (eppure Sarno è un paese prevalentemente agricolo), non si vede una macchina in strada né da quache parte un cane o una pecora o una gallina. Somiglia alla Sarno del centro storico, come Via Fabricatore e Via De Liguori, dove tutto è "chiuso-morto", tranne uno o due negozi aperti, con asfittiche attività commerciali, mentre l'artigianato è scomparso.

Questa città sembra una città-morta, un immenso rudere riportato alla luce come l'antica Pompei. E' una città più metafisica, onirica direi, che reale. Rinvia con il pensiero a una delle città invisibili di Italo Calvino: "Alle volte anche i nomi degli abitanti restano uguali, e l'accento delle voci, e persino i lineamenti delle facce; ma gli dei che abitano sotto i nomi e sopra i luoghi se ne sono andati senza dir nulla e al loro posto si sono annidati degli estranei" (Le città e la memoria. 5).

Quest'opera, a mio giudizio, può e vuole essere un monito ai suoi abitanti. Vogliamo lasciar morire questo paese, gli diamo un "pugno nell'occhio" e con la nostra opera lo distruggiamo, come la forza travolgente della lava distrusse a suo tempo la celeberrima Pompei? Oppure vogliamo darle, radicandoci nella sua storia e nelle sue memorie, una prosepttiva di un futuro migliore per le prossime generazioni?

Antonio Caiazza